Ecco le domande che non possono farti a un colloquio di lavoro: sono vietate per legge, ma tante aziende le fanno lo stesso.
Quante volte ti è capitato, durante un colloquio, di ricevere domande scomode e personali, del tutto non inerenti al lavoro per cui eri in lizza? Al contrario di quanto si può pensare, la legge le vieta esplicitamente, queste domande, classificandole come vere e proprie discriminazioni sul lavoro.
Discriminazioni sul lavoro
Quando si fa un colloquio di lavoro si presuppone che quello che i recruiter devono valutare sia l’idoneità o meno a ricoprire quel determinato ruolo e a svolgere le mansioni che prevede, ma spesso non è così, o meglio, non solo. Infatti, oltre a testare la validità del CV inviato, chi si occupa della selezione del personale spesso fa domande ai propri candidati che possono fare da ago della bilancia per l’assunzione, che non c’entrano niente con il lavoro da svolgere. Si tratta di domande personali che, indistintamente dal sesso, ognuno si è sentito porre.
Va detto che le donne sono molto più soggette a questo tipo di interrogatori di carattere personale e a volte addirittura intimo, ma nemmeno gli uomini ne vengono esonerati. Dal lato loro, le aziende si giustificano dicendo che devono valutare il candidato anche in base alle inclinazioni e alla dedizione che potrebbero mettere o meno sul lavoro, ma le parole stanno a zero: queste domande sono discriminatorie, e la nostra legge le vieta esplicitamente. Ecco quali sono.
Domande che non possono farti a un colloquio
L’articolo 27 del Decreto Legislativo 198/2006 dice esplicitamente che è vietata “qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale”. Ciò detto, purtroppo la realtà è ben diversa. Partiamo dalle domande sullo stato matrimoniale, sulla presenza di figli o la volontà di volerne, tutte queste sono vietate dal Codice delle Pari Opportunità, ma molte aziende se ne infischiano.
Allo stesso modo, il Dlgs 215/2003 e lo Statuto dei Lavoratori vietano di chiedere informazioni sull’ideologia politica o la fede religiosa. Anche le convinzioni personali (aderenza a sindacati, ecc.) dovrebbero rimanere al di fuori di un colloquio di lavoro, e a dirlo è l’art.2 del Dlgs 216/2003, mentre il Dlgs 276/03 tutela la salute fisica dei candidati, dicendo che, a meno che un problema fisico sia rilevante ai fini del lavoro da svolgere, il datore di lavoro non può fare domande sulla salute fisica o mentale del candidato.
Tutti hanno ricevuto almeno una di queste domande, e si è trovato, oltre che in imbarazzo, anche nella necessità di rispondere. Quando accade questo però, è bene sapere che, seppur queste siano discriminazioni difficili da provare, ci si può rivolgere all’Ispettorato Territoriale del Lavoro oppure allo Sportello Unico Digitale del Ministero del Lavoro alla sezione “Mezzi di ricorso disponibili contro la discriminazione sul lavoro”.