Smartworking, se non rispetti l’orario nessuno può licenziarti. Ecco cosa dice la legge

Secondo la legge è illegittimo licenziare una persona che lavora in smartworking, anche se questa non rispetta l’orario stabilito.

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smartworking – palidoronews.it

 

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 30 gennaio 2024, n. 2761 ha confermato l’illegittimità del licenziamento a carico di una dipendente. Lavorava in smartworking e pare non abbia rispettato l’orario lavorativo. Secondo i giudici risulta che la lavoratrice potesse lavorare tranquillamente da remoto, senza con questo far venire meno la diligenza dovuta. L’elenco di mansioni della lavoratrice consentono di evincere che alcune di esse prescindono completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo. Vediamo in dettaglio cosa ha stabilito la Corte di cassazione con questa importante sentenza in tema.

Smarworking ha più flessibilità

Se un’azienda accusa e licenzia un dipendente senza una reale motivazione che glielo permette. La mancanza di motivazione, come è stato chiarito più volte in giurisprudenza, come causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie“.

Secondo la Corte, i vizi di mancanza di motivazione o di motivazione apparente, lamentati dalla ricorrente, “non sono assolutamente riscontrabili nell’impugnata sentenza”. La Corte territoriale aveva infatti ben evidenziato che: “il giudice reclamato ha ritenuto, sulla base delle prove assunte, che la lavoratrice bene potesse lavorare da remoto, senza con questo far venire meno la diligenza dovuta”. Aveva anche sottolineato che : “Lo stesso elenco di mansioni consente di evincere che alcune di esse prescindono completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo; basti pensare a quelle così sintetizzate nell’elenco offerto dalla stessa società reclamante: … “.

lavoro da casa
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Il verdetto finale

Per quanto riguarda la lavoratrice accennata prima un testimone qualificato aveva dichiarato che: “A volte la ricorrente lavorava da casa perché aveva la scheda sim aziendale per lavorare dove e quando ritenuto opportuno. La scheda l’avevano solo i coordinatori e l’avevo pure io. C’era una rete aziendale. Talvolta la resistente si faceva dare i fogli presenza fuori dall’orario di lavoro per poter fare il lavoro a casa se non poteva uscire ad esempio per malattia“. La società ricorrente è stata condannata dalla Cassazione al pagamento, in favore della controparte, delle spese di giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

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