Oramai sono decenni che si discute su quali sia la pronuncia corretta tra arancina e arancino. Ora abbiamo la risposta definitiva.
La guerra tra “arancino” o “arancina” forse è giunta al termine. La famosa palla di riso farcito con ragù di carne o altri ingredienti, impanato e fritto ha fatto litigare per decenni diverse parti della Sicilia. Le due “scuole di pensiero” sono rappresentate da Catania e la Sicilia orientale con “arancino”, e Palermo e la Sicilia occidentale con “arancina”. A sciogliere la questione e ci ha pensato l’Accademia della Crusca, da secoli una vera e propria autorità in fatto di lingua italiana. Vediamo quale tra le tue parole è più corretta.
L’etimologia di “arancino/arancina” dipenderebbe dal colore arancione della panatura fritta del timballo oppure dalla somiglianza diretta con l’arancia. D’altro canto, potrebbe dipendere da entrambi i fattori.
Il termine dialettale “aranciu”, con la progressiva diffusione dell’italiano nel nostro Paese, si trasformò in vari italiani regionali in “arancio” e non in “arancia”. In molte parti d’Italia, comprese vaste aree della Sicilia (ma anche della Toscana, ad esempio), il frutto dell’arancio (la pianta) viene chiamato tutt’ora “arancio” e non “arancia”. Per lo stesso motivo abbiamo una trasformazione parallela di “arancinu” in “arancino”, con la “o” terminale, nell’italiano regionale siciliano. “Arancino”, d’altro canto, è la forma che si è diffusa maggiormente in Italia, tanto da essere stata adottata anche dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
“Arancino” non è comunque la versione corretta del termine, o almeno non del tutto. Nell’italiano standard, quello a tutti gli effetti corretto, è “arancia” il giusto modo di definire il frutto dell’albero dell’arancio. Si tratta di una distinzione e di una regola, però, che si è diffusa nel nostro Paese solo nella seconda metà del ‘900. In pratica è probabile che nel palermitano e in altre aree urbane, più ricettive verso l’italiano standard, e in altre zone della Sicilia l’arancia veniva chiamata in altri modi ( come ad esempio nel ragusano e siracusano si usava spesso “partuallu/partwallu”), “arancia” e, di conseguenza “arancina” abbiano prevalso come logica trasformazione dell’originale “arancinu”. Attestazioni di questo uso al femminile si trovano a partire da fine ‘800. La prima è all’interno dell’opera I Viceré del catanese Federico De Roberto, edita nel 1894.
In conclusione, quindi, l’Accademia della Crusca ammette entrambe le varianti, perciò mettiamo da parte il campanilismo e godiamoci gli/le arancini/e senza più polemiche, anche perché a prescindere dal loro nome, rimangono indiscutibilmente buoni.
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