Per secoli leggende sul Triangolo delle Bermuda sono state tramandate. Quello che ci si chiede è se sono vere ed ecco svelato il mistero.
Il triangolo delle Bermuda è una vasta zona di mare che comprende oltre un milione di km² ed è racchiusa tra tre punti geografici. Il suo estremo a Nord è rappresentato da Bermuda, la principale isola dell’arcipelago delle Bermuda, mentre all’estremo Sud si trova l’isola di Porto Rico, nei Caraibi. A Ovest si trova il punto più meridionale della penisola della Florida, negli Stati Uniti. Perché esistono delle leggende sul conto del Triangolo delle Bermuda? Soprattutto sono vere? Scopriamolo insieme.
Triangolo delle Bermuda, un mito e una leggenda
A partire dagli anni ‘50 è diventato famoso nella cultura popolare come “triangolo maledetto”. Questo perché ci furono numerosi episodi di sparizioni di navi e aeroplani avvenuti nell’arco di 200 anni. Un caso in particolare diede il via al mito vero e proprio, si tratta del “Volo 19”, nel quale un gruppo di cinque aerei bombardieri della Marina statunitense scompaiono il 5 dicembre 1945 durante una semplice esercitazione. Quando cercarono di capire cosa fosse accaduto, non fu possibile risalire con certezza alle cause dell’incidente. Così alcuni pseudo-giornalisti ne approfittarono per formulare delle ipotesi soprannaturali per le sparizioni, con il termine di “Bermuda Triangle” che apparve per la prima volta in un articolo di una rivista pulp nel febbraio del 1964.
Le navi scompaiono davvero nel Triangolo?
La verità è che il Triangolo delle Bermuda si trova in un’area dell’oceano Atlantico caratterizzata da eventi meteorologici piuttosto estremi. Per intenderci qui nascono gli uragani, che poi si abbattono sulle isole dei Caraibi e sulle coste meridionali degli Stati Uniti con conseguenze spesso disastrose. La Corrente del Golfo, che come sapete passa proprio in questa porzione di oceano, è tra le principali cause di queste perturbazioni. Infatti è proprio l’alta temperatura dell’acqua in superficie, superiore ai 26° C, a permettere l’elevazione di vaste masse d’aria calda che poi generano gli uragani. Per questo motivo è molto facile imbattersi in tempeste in mare aperto, con onde che possono raggiungere decine di metri di altezza.
Oltre alla componente scientifica dobbiamo aggiungerne una storica. Questa parte dell’oceano, dalla scoperta dell’America in poi, è sempre stata molto trafficata. Ci fu un vero proprio traffico di navi merci e voli commerciali dall’Europa che, sessant’anni fa, erano una novità non poco pericolosa. Richiedevano infatti una sosta di rifornimento alle Azzorre, al largo del Portogallo, prima di un volo di oltre 3 mila chilometri per le isole Bermuda. Gli aerei dell’epoca operavano perciò spesso al limite del loro raggio d’azione. Questo comportava il rischio, in caso di condizioni particolarmente avverse, di trovarsi senza carburante con la terraferma ancora lontana. Oggi questo non succede più, dato che gli aerei diretti verso Bermuda hanno una riserva di carburante sufficiente per cambiare rotta in caso di emergenza.
Le statistiche che nessuno guarda
Un altro fattore da tenere in considerazione è la percentuale elevata di traffico che c’è queste acque. Più navi e aerei passano in questa area, maggiore è il numero storico di incidenti. Anche se oggi il numero di incidenti in mare è in drastico calo, si può affermare a tutti gli effetti che il triangolo delle Bermuda non esiste più. Pensate che uno studio del 2013 condotto dal WWF sulle aree marittime più pericolose sostiene che il Mediterraneo orientale, o addirittura il Mar Nero, sono ritenuti più pericolosi.