Una donna in maternità può essere licenziata? La legge parla chiaro al riguardo, esiste una tutela ma non in tutti i casi.
In Italia le donne incinte sono tutelate dalla legge e genericamente non possono essere licenziate a meno che non ci sia una «giusta causa». Il problema si presenta quando questa giusta ci si appellano in modo libero. Utilizzandola come unica “via di fuga” per lasciare a casa le lavoratrici che scoprono di aspettare un bambino. Vediamo insieme cosa dice la legge.
In Italia, la legge tutela fortemente i diritti delle lavoratrici incinte e delle neo-mamme. Lo fa vietando esplicitamente il licenziamento per motivi legati alla gravidanza. Questo si basa sul Decreto Legislativo n. 151/2001 (Testo Unico sulla Maternità e sulla Paternità). Questo testo prevede che durante il periodo di gravidanza fino al termine del periodo di maternità post-partum, che di solito dura 5 mesi dopo il parto, le donne godono di protezione contro il licenziamento.
I datori di lavoro non possono licenziare le lavoratrici per motivo di gravidanza o durante il congedo di maternità. Esistono dei particolari casi, però, dove è possibile licenziare. Come ad esempio la chiusura dell’azienda. Oppure se esiste una giusta causa che può presentarsi solamente di fronte a comportamenti oggettivamente gravi della dipendente nei confronti dell’azienda o dei colleghi (furti, violenza, gravi inadempienze, comprovato assenteismo etc…).
Il licenziamento comunque dev’essere autorizzato dall’Ispettorato del Lavoro. Va specificato che per i periodi immediatamente precedenti e successivi al congedo di maternità, esistono norme specifiche. Anche in questo caso la possibilità di licenziamento è limitato. Ad esempio, una donna non può essere licenziata durante il periodo di prova se l’azienda viene a conoscenza della sua gravidanza.
Una donna può fare ricorso per essere reintegrata nel suo posto di lavoro e per ricevere il pagamento dei salari perduti. Anche nel caso in cui venga declassata o demansionata senza una giustificazione valida la lavoratrice può fare ricorso. Questo perché se l’assegnazione di incarichi e responsabilità sono inferiori alle qualifiche sottoscritto alla firma del contratto di lavoro, rappresenta una pratica discriminatoria e che non può essere attuata.
Bisogna specificare però che queste protezioni si applicano alle sole lavoratrici subordinate. Coloro che sono lavoratrici autonome o freelance potrebbero non godere dello stesso livello di protezione legale in caso di gravidanza. Quindi nel caso specifico bisognerà informarsi bene su come muoversi.
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